Albero genealogico
La gente non sa una cosa di me, sono ormai migliaia d'anni che ho diciotto anni. Ho camminato attraverso il tempo. Ho visto la Pangea distribuirsi nella Panthalassa. Ero qui quando il dominio degli uomini ebbe inizio e sarò qui quando giungerà al termine. Non chiedetemi come questo sia possibile, mi ci vorrebbero troppi fogli e troppo tempo per spiegarvelo.
Un giorno, coricato al centro di un campo di margherite, osservavo fisso il sole, con le candide nuvole che gli danzavano attorno. Fischiettavo pensando alla leggerezza del vento che carezzava le mie gote carnose, mi incuriosiva la felicità dei volatili, che possono vedere il mondo dall'alto senza doversi immergere nella buia tristezza che la nuda terra riserva per chiunque debba viverci. E nell'azzurro cielo, che è specchio delle limpide acque di questo mondo, mi rispecchiavo. Quello era il mio paradiso, e lì passai la giornata contemplando il mondo. Quando fece buio, ripresi il mio cammino.
Camminavo. Camminavo nella coltre della notte senza una mèta, senza sapere dove fossi o dove andassi, senza sapere se mai avrei smesso di camminare. Camminavo, perso nei miei pensieri, ellittici e disordinati flussi di coscienza sulla pace eterna. Camminavo, quando d'un tratto mi resi conto che sotto i miei piedi c'era solo terra, nulla di colorato che le facesse da manto, solo la fredda e nuda terra. A quei tempi, ricordo, le persone erano poche e poco ambiziose, la gran parte della terra era inabitata ed io ero un'errante anima curiosa. Ovunque andassi portavo con me il dono di un vecchio mercante di seta che conobbi nelle lontane terre dell'odierna Cina. Ero molto legato a quel dono, un tempo quel mercante era stato un mio grande amico. Così quando vidi quella malinconica chiazza di terra che si espandeva dai miei piedi per chilometri, decisi di prendere quel dono, un seme, un seme molto speciale, colto nel giardino di un re dal vecchio mercante. Lo interrai e per mesi rimasi a prendermi cura di quel piccolo seme, lo osservavo crescere lentamente, senza dirgli una parola ma amandolo incondizionatamente. Rimanevo sdraiato al suo fianco scrutando il cielo, aspettando solo di vederlo diventare grande, di vederlo diventare forte e farsi coraggioso, non più timido e fragile. Non so quanti anni passarono prima che io prendessi congedo da quel posto, ma quando me ne andai, il mio piccolo era divenuto grande, aveva colorato di verde quella grande macchia di terra scura che tanto mi aveva rattristato.
Oggi quella macchia di terra nuda è un bosco immenso. Ogni volta che passo di lì mi sento a casa, perché casa è ovunque sia la famiglia.