Chissà se l'amo?

21.05.2025
Chissà se l'amo? È un dubbio che m'accompagnò per tutta la vita e oggidì posso pensare che l'amore accompagnato da tanto dubbio sia il vero amore.
                                                                                                  La coscienza di Zeno, ITALO SVEVO

Ed è proprio così che il desiderio amoroso emerge nel panorama letterario sveviano: una tensione idealistica profondamente contraddittoria e, nella maggior parte dei casi, irrealizzabile. La donna sveviana non rappresenta mai semplicemente un oggetto d'amore, al contrario, riveste una funzione simbolica complessa: è sogno di purezza, di integrità morale e perfino di "salute", ma al tempo stesso incarna una differenza irriducibile, una distanza incolmabile che condanna l'uomo all'infelicità o al fallimento relazionale. Specchi deformanti attraverso cui i protagonisti riflettono la propria inadeguatezza, il loro senso di inettitudine e la difficoltà di vivere una vita autentica. Annetta, Angiolina, Augusta, lontane dall'essere idealizzate, appaiono come presenze ambigue: talvolta sono oggetti di desiderio, altre volte ostacoli insormontabili, ma sempre rivelatrici delle fragilità interiori dei personaggi maschili.

Il rapporto con il femminile, nel contesto culturale e psicanalitico dell'epoca, riflette quella scissione tra pulsione e affetto, tra desiderio e morale, che Sigmund Freud aveva descritto come una delle nevrosi più comuni della vita moderna. Tale scissione si traduce, nella letteratura, in un topos ricorrente: la dicotomia tra madre e amante, che non rappresenta solo un'articolazione narrativa, ma testimonia un dissidio profondo e irrisolto tra le esigenze affettive e quelle erotiche. Svevo accoglie e interiorizza questa dicotomia, rendendolo un elemento strutturale fondamentale, insito nello scheletro delle sue opere.

In Una vita, questo sdoppiamento si manifesta nel contrasto tra la madre, figura idealizzata che muore prematuramente, e Annetta, l'amante inadeguata che incarna il fallimento sentimentale. La morte della madre travolge Alfonso, il protagonista, segnando la sua discesa in una spirale di passività e sconfitta. In Senilità, l'opposizione è ancora più esplicita: da un lato Amalia, la sorella devota, custode delle virtù familiari e proiezione della madre; dall'altro Angiolina, donna fatale, esuberante e indomabile, che attira Emilio in una relazione distruttiva. Angiolina, con la sua sensualità popolare, la sua natura istintiva e la sua libertà amorale, incarna una forza erotica che minaccia la stabilità dell'identità maschile. Non solo destabilizza Emilio, ma contagia anche Amalia, che, liberando improvvisamente le proprie pulsioni represse nei confronti dell'amico scultore del fratello, deperisce e muore consumata dal dolore di un delirio erotico, dall'insoddisfazione e dal senso di esclusione affettiva. La tragedia di Amalia rappresenta il prezzo della repressione, ma anche la conseguenza di una femminilità negata, ridotta a funzione e non riconosciuta come soggetto.

Emilio, nel romanzo, incarna la viltà borghese maschile, che cerca di dominare l'eros attraverso il controllo e la riduzione della donna a oggetto. Non vuole una compagna, ma un'amante compiacente senza esigenze, che non interferisca con la sua rispettabilità sociale. Impone ad Angiolina un progetto di educazione morale e culturale, ma lei, immune ai condizionamenti borghesi, si sottrae con naturalezza. La sua vitalità, che Emilio tenta di contenere, si ribella al dominio, smascherando l'ipocrisia dell'uomo e il suo desiderio di possesso mascherato da affetto. L'immoralità di Angiolina è in realtà un'affermazione di autonomia, un gesto di liberazione rispetto a un sistema che nega alla donna qualsiasi soggettività.

Se Emilio fallisce nel tentativo di conciliare desiderio e rispetto, proiettando le sue contraddizioni sulle figure femminili fino a distruggerle, Zeno, protagonista de La coscienza di Zeno, riesce invece a gestire, almeno in parte, la scissione, riuscendo alla fine vincitore, come per la sua condizione da inetto analizzata nello scorso articolo. In lui si osserva una più complessa capacità di mediazione tra le esigenze del corpo e quelle della psiche. Anche in Zeno la donna è sdoppiata: Augusta, la moglie, incarna l'accudimento materno e la sicurezza affettiva, mentre Carla, l'amante, rappresenta la trasgressione erotica. Ma c'è una novità: Zeno riesce a vivere entrambe le relazioni senza esserne annientato, perché ha accettato la propria contraddizione e ne fa una risorsa narrativa.

Il rapporto con Augusta è apparentemente fondato su un errore di scelta, ma si rivela poi un compromesso funzionale. Augusta diventa una "seconda madre", una figura di stabilità che consente a Zeno di condurre una vita protetta. Il suo amore per lei si alimenta proprio nella distanza, nella purezza idealizzata che non deve essere contaminata dal desiderio. Carla, al contrario, è oggetto di piacere e consumo: giovanissima, povera e disponibile, inizialmente subisce la volontà di Zeno, che la mantiene in uno stato di dipendenza economica e affettiva. Ma, a differenza di Angiolina, Carla si emancipa non con la ribellione istintiva, bensì con una scelta morale consapevole. Quando Zeno tenta di manipolarla presentandole Ada, figura di bellezza e tristezza, Carla rifiuta il ruolo di "donna inferiore", riconoscendo la vacuità del legame e abbandonando l'uomo.

Anche in Zeno, però, l'impossibilità di un amore totalizzante è evidente. La donna amata davvero, la sorella di Augusta, Ada, resta inaccessibile. Non è una madre e non può essere un'amante: è la "donna proibita", l'ideale irraggiungibile, simbolo di un'unità desiderata ma sempre mancata una donna con i suoi occhi serii in una faccia che per essere meglio nivea era un poco azzurra e la sua capigliatura ricca, ricciuta, ma accomodata con grazia e severità. Persino il tentativo di Zeno di appropriarsi simbolicamente di Ada, attraverso la rovina del marito Guido, si risolve in un fallimento: Ada parte per l'America e lo condanna all'esilio affettivo. Zeno allora sublima l'eros in un continuo gioco di sostituzioni e autoanalisi, accettando la propria inettitudine come condizione esistenziale.

Alla fine, sia Emilio che Zeno sono vittime e insieme artefici della propria scissione. Nei loro rapporti con il femminile si riflette la crisi dell'identità maschile moderna, l'incapacità di accettare la donna come soggetto autonomo e complesso. Queste donne incarnano, spesso con una forza tragica, l'impossibilità di una sintesi tra amore e desiderio, tra eros e ordine borghese. Tuttavia, mentre Emilio soccombe, Zeno riesce a sopravvivere nella contraddizione, costruendo un equilibrio instabile ma vitale tra dovere e piacere, affetto e desiderio.

(Il contenuto di questo articolo è stato sviluppato sulla base della lettura delle pagine critiche di Romano Luperini)