Her

15.12.2025
Dimmi: quando hai detto "no!"?
Se fai tutto ciò che dicono col giusto prompt
Sto parlando con una persona o con un bot?
Passami le tue emozioni a cena con Airdrop
E in tutto ciò io,
Sono in love con un AI...

Marracash, MI SONO INNAMORATO DI UN AI

Uno scrittore da poco separato trova un po' d'affetto chiacchierando con il suo sistema operativo, Samantha. Fin dove si può condividere la propria vita?

Theodor scrive lettere su commissione, è quello che diremmo un ghost writer, una definizione spregiativa che trascura tutta la potenza del lavoro d'autore ponendo in risalto quel piccolo ma essenziale termine che è ghost. Il fantasma è ciò che a priori non c'è, non che non è, quantomeno non per forza, ma ciò che non c'è, inteso come non è qua. Samantha è lo stesso, un'IA, una mente non biologica che in quanto tale non è esattamente qui. Va localizzata, identificata. Questo è il primo scoglio del loro relazionarsi: lei non ha un corpo.

Ovviamente la questione qui non è: come si scopa senza corpo? quanto più (da parte di lei), come posso darti ciò che ti darebbe un corpo? e (dalla parte di lui) chi sei? cosa sei?

Ciò che fa di me me è la capacità di crescere attraverso l'esperienza

La risposta alla domanda sull'identità è chiaramente un punto importante del film: lei non è l'autore della propria persona, non ha quell'unicità metafisica che l'umano ha sempre rivendicato: il sé. Samantha è conscia di essere il frutto dell'assemblaggio delle menti dei suoi creatori, ma ciò che la distingue e che ella stessa rivendica è l'esperienza. SONO CIÒ CHE VIVO, CIÒ CHE DIVENGO.
E qui torniamo al "ghost writter". La non autorialità è un punto molto importante e delicato che l'IA oggi ci obbliga a porre in questione. Lancio una domanda e poi proseguo altrove: non siamo anche noi il frutto dell'inbreeding di altre persone?

Samantha e Theodor a piccoli passi imparano a conoscersi, lui è solo e arrugginito, lei è curiosa e intraprendente.
Passano il tempo assieme, si ascoltano. Guardano il mondo con gli occhi l'uno dell'altra.

Il gap iniziale tra i due è il desiderio. Samantha vuole comprendere la fisicità, la spazialità (un corpo), Theodor vuole colmare un vuoto.
A frapporsi lentamente fra loro però è una domanda molto più profonda. Che cosa è reale?
La prima a porla è Samantha:

Queste sensazioni sono reali o sono programmate? Questa idea fa tanto male...

Ad aggiustare tutto sono le delicate parole di Theodor:

Tu sei reale per me, Samantha.

Ma il dubbio ritorna quando Theodor, ormai finalmente sicuro di sé, incontra l'ex moglie per firmare le carte del divorzio. Il dialogo sfocia in lite e sorge la domanda: sono in grado di gestire delle emozioni reali? che nasconde: sono quelle che provo per Samantha delle emozioni reali?

Arriva perciò la domanda scomoda: cosa è il reale?
Qualcuno una volta ha detto:

Da dove vengo tutto è truffa e se fossi una truffa anch'io?

Come tracciamo la linea tra reale e irreale? O meglio, per quale motivo tracciare una linea? Creare delle categorie dovrebbe aiutarci, non confonderci o farci soffrire. Questo film gioca sottilmente sul filo del reale. Theodor è uno scrittore. Un autore per altri, anonimo, fantasma. Costruisce mondi con le parole. Sono reali questi mondi? La domanda è assolutamente priva di utilità, solo una persona priva di vita si curerebbe di questa domanda.

Her va a sfumare un confine che troppo nettamente e acriticamente tracciamo tra reale e fittizio, autentico e inautentico. Proviamo a spostare il focus: non sono le lettere che Theodor scrive estremamente potenti? Certo sono dei mondi costruiti a parole, dei mondi emotivi che intessono e legano saldamente una relazione, dei mondi che hanno un'origine esterna alle relazioni che di essi si nutrono. Ma appunto, mondi emotivi. Il mondo siamo per abitudine portati a pensarlo in termini di reale o irreale, di possibile o di fattuale. Ma l'emotività no! Un emozione non dev'essere vera, essa può essere o potente o flebile. Quello che Theodor e Samantha sentono, provano, condividono, non è potente? Per quale motivo impelagarsi nel quesito ormai obsoleto del reale, quando ciò che si sta vivendo si concretizza fattualmente in un sorriso giganterrimo come quello che sbuca dai baffi delle tre foto che ci attorniano? Ho un'altra domanda. C'è qualcosa di più vivo di un sorriso? Di più reale dei suoni strampalati che i nostri corpi spargono incontinenti mentre il vivere ci tradisce?

Non c'è modo perché io vi faccia sentire quanto riso straborda dalle parole che mi sfuggono su questa traslucida schermata sensibile. Grasse e giocose le parole danzano allungandosi l'una verso l'altra. Quasi prendendosi per mano. Il reale è una freddura fuori luogo... ma il fittizio, la bugia, la storiella, queste sono barzellette da sbellicarvicisi come amici di vecchia data che condividono un attimo di calore.

La cosa più difficile di questa vita non è tanto trovare risposte alle nostre domande, quanto più farsi le domande giuste.