I manoscritti non bruciano

16.07.2025
Dunque tu chi sei? Una parte di quella forza che vuole costantemente il Male e opera costantemente il Bene (Faust, Goethe)
                                                               
                                                                Il Maestro e Margherita, MICHAIL BULGAKOV

Ci sono libri che non si limitano a raccontare una storia, ma che travalicano la carta, resistono al tempo, sfuggono alla censura, e diventano molto di più. Un destino, un simbolo, un miracolo. Considerato uno dei più grandi capolavori della letteratura russa del Novecento, Il Maestro e Margherita pubblicato per la prima volta solo molti anni dopo la morte del suo autore in una versione pesantemente censurata, nato tra le fiamme della repressione, ricostruito pezzo per pezzo grazie alla memoria e all'amore, ha saputo imporsi come una delle opere più libere, ardite, profetiche e visionarie mai scritte.

Michail Bulgakov, che non godeva di certo della fama di giganti come Tolstoj o Dostoevskij, visse un'esistenza tormentata sotto il regime sovietico. Autore di romanzi come Cuore di cane, La guardia bianca e Appunti di un giovane medico, era spesso oggetto di critiche e censure da parte del potere. Fu un atto di ribellione e, qualcuno dice pazzia, quello di iniziare a scrivere Il Maestro e Margherita. Dopo il blocco della pubblicazione del manoscritto nel 1930, in un gesto disperato bruciò tutto ciò che aveva scritto, consapevole però nel profondo che i manoscritti non bruciano. Ricominciò a riscrivere il romanzo interamente da capo, lavorandoci per più di un decennio, in otto diverse stesure, fino alla sua morte.

Nel leggere qualcuno ha visto Bulgakov, in quel Maestro tormentato, altri il Diavolo. I più acuti lettori, nello stato confusionario in cui inevitabilmente sono caduti, capitolo dopo capitolo, sono finiti nel vedere tutti e nessuno, lo scrittore smarrito e il demone saggio, l'uomo in fuga e il giudice occulto, come se Bulgakov avesse disseminato il proprio volto tra le sue creature, affidando alla letteratura ciò che la realtà gli aveva negato.

Due storie che si intrecciano e si specchiano l'una nell'altra, alternate con precisione matematica: da un lato la Mosca staliniana degli anni Trenta, grottesca, allucinata e soffocante, il più vivido ritratto mai realizzato, dall'altro, la Gerusalemme del I secolo, dove Ponzio Pilato si trova a processare un uomo misterioso di nome Jeshua Ha-Nozri. Fili narrativi apparentemente sconnessi, legati da un sottile, mai espresso nodo: Woland, il Diavolo, il Male. Nel Faust di Goethe, Mephistopheles, l'incarnazione dell'inganno e della sfida, colui che nega per stimolare, che distrugge per spingere alla conoscenza. Giunto a Mosca come "esperto di magia nera", Woland è giustiziere e rivelatore. È colui che porta la verità in un mondo dominato dalla menzogna e dall'oppressione.

Solo nel cuore del romanzo, precisamente nel XIII capitolo, appare la figura del Maestro. Uno scrittore rinchiuso in un manicomio dopo essere stato distrutto dalla critica per aver scritto un libro su Ponzio Pilato e Gesù. È lì che incontra Ivan Ponyrëv, poeta fallito internato a sua volta dopo aver assistito alla morte assurda e profetizzata di un intellettuale ateo travolto da un tram, introdotta dallo stesso autore proprio nel primo capitolo del complicatissimo romanzo, nell'ora di un caldo tramonto primaverile presso gli stagni Patriaršie. È in questo momento che il Maestro racconta a Ivan la sua storia e l'amore struggente e proibito per Margherita, una donna sposata che lo ha amato con passione assoluta, al punto da stringere un patto col diavolo pur di salvarlo, passavano migliaia di persone, ma io le assicuro che lei ha visto soltanto me, e mi guardava: non ansiosa, ma addirittura sofferente. E più della sua bellezza mi ha colpito la straordinaria solitudine nei suoi occhi, una solitudine mai vista da nessuno prima. Margherita, protagonista del Faust, vola nuda per i cieli di Mosca, si trasforma in strega, percorre la città vendicandosi dei critici che hanno distrutto il suo amato, partecipa a un ballo infernale e ottiene la possibilità di chiedere qualsiasi cosa in cambio, in segno di riconoscenza a Woland, al Diavolo in persona.

Seguimi, lettore! Chi ti ha detto che al mondo non esiste un amore vero, fedele, eterno? Gli si tagli la lingua, a quel bugiardo!

Con queste parole si apre la seconda parte de Il Maestro e Margherita, ed è come se una voce, tra l'incanto e la disperazione, ci prendesse per mano e ci introducesse nel cuore del romanzo. È qui che fa la sua comparsa Margherita Nikolaevna, figura tragica, l'amante abbandonata dal Maestro dopo mesi di amore clandestino, l'eroina che non rinuncia a cercare l'uomo che ama, pur ignorandone il destino. Nel suo desiderio ardente e incrollabile, Margherita si spinge oltre i limiti del possibile: accetta l'invito di Woland e si abbandona alla metamorfosi. Diventa strega, regina del ballo di Satana, attraversa le tenebre della Mosca fantastica per ottenere non il potere, ma il ricongiungimento con il suo Maestro. E le viene concessa una qualsiasi richiesta in cambio da quella figura enigmatica e colta, l'unica che si muove liberamente dal primo capitolo al trentaduesimo. Figura che è, paradossalmente, in dialogo perenne tra luce e ombra, tra bene e male, un binomio che non si risolve in una contrapposizione netta, ma si complica e si fonde. Che cosa farebbe il tuo bene, se non esistesse il male? [...] Vuoi forse scorticare tutto il globo terrestre, portandogli via tutti gli alberi e tutto quanto c'è di vivo per il tuo capriccio di goderti la luce nuda? Sei sciocco. Così, l'ombra non è negazione della luce, ma sua necessaria condizione. Il male, nel mondo di Bulgakov, non è assenza del bene, ma uno dei suoi strumenti paradossali. Solo chi attraversa l'oscurità può comprendere il significato della luce.

E di tutto ciò ne è profondamente consapevole Ponzio Pilato, incarnazione del potere fragile e violento, logorato dal dubbio e paralizzato dalla paura. Pilato incontra Ha-Nozri, il Gesù del romanzo, e ne percepisce subito la forza disarmante. Il suo messaggio, che predica la bontà e l'assenza di potere, è profondamente politico, ogni potere è violenza sull'uomo […] Verrà un tempo in cui non vi saranno né potere, né cesari, né qualsiasi altra autorità. Pilato vacilla. Intuisce il valore di quelle parole, ma ne teme le conseguenze. È oppresso da un mal di testa lancinante, che sembra esprimere il suo dissidio interiore, e che scompare misteriosamente quando è vicino a Ha-Nozri. Eppure, pur riconoscendo l'innocenza dell'uomo, lo condanna. Da quel momento, Pilato è un uomo condannato al rimorso: ogni notte di luna piena sogna una strada bianca, lungo la quale vorrebbe camminare con il prigioniero e parlargli. Alla fine del romanzo, il Maestro lo libera, sei libero… Egli ti attende.

Eppure, al Maestro e a Margherita non è concessa la luce. A loro spetterà la pace, non l'eternità luminosa. È una differenza sottile, ma decisiva. Perché il Maestro non è un eroe, ma un uomo fragile, angosciato, consapevole di aver scritto qualcosa di grande ma incapace di difenderlo fino in fondo. Ha ceduto alla paura, ha bruciato il suo manoscritto per sottrarsi alla persecuzione. Margherita ha avuto il coraggio che a lui è mancato. Il dono che riceve non è l'apoteosi, ma un riposo meritato, un angolo silenzioso dove l'amore può sopravvivere, al riparo dal clamore del mondo.

Ascolta la quiete - diceva Margherita al Maestro, e la sabbia frusciava sotto i suoi piedi nudi, - ascolta e godi ciò che non ti hanno mai concesso in vita: il silenzio. Guarda, ecco là davanti la tua casa eterna, che ti è stata data per ricompensa. Già vedo la trifora e la vite che s'attorce e s'alza fino al tetto. Ecco la tua casa, la tua casa eterna.