Riccio e le spine d'oro

Riccio era nato in un bosco tranquillo, sotto
le foglie dorate d'autunno e proprio tra questo oro crescevano, lente e
silenziose, le sue prime spine come piccoli pensieri appuntiti.
Ogni volta che il vento soffiava troppo forte,
ogni volta che un'ombra si allungava all'improvviso, ogni volta che un cuore si
avvicinava con troppa fretta una nuova punta si faceva strada.
Un giorno il mondo gli parlò troppo forte e con ogni spina nuova,
Riccio diventava più cauto, più solo, più silenzioso, finché un giorno non si
ricordò più nemmeno com'era fatto senza difese.
"È per proteggermi", pensava.
"Se sto abbastanza nascosto nessuno potrà ferirmi."
E infatti nessuno lo feriva più, ma nessuno lo
abbracciava nemmeno.
Poi un giorno arrivò una voce, non un urlo, né
un sussurro, solo una voce gentile.
Una presenza che non pretendeva nulla, ma restava.
Ogni giorno si sedeva poco lontano, non diceva "devi fidarti", non diceva
"apriti".
Diceva solo: "Sono qui. Se un giorno vuoi
provare, io ci sono."
Il riccio non sapeva come rispondere a questo
tipo di amore, non era abituato a chi aspetta.
Ma qualcosa dentro di lui, qualcosa di dimenticato, forse qualcosa di bambino,
cominciò a svegliarsi.
Quella notte, il riccio non riuscì a dormire.
Non per paura, stavolta. Ma per una domanda che gli si era piantata nel petto
ed era più appuntita di qualsiasi spina avesse mai avuto.
Cos'è
l'amore?
"Forse l'amore è un posto in cui posso
respirare intero" pensò. "Forse amare è sentire quando l'altro ha freddo e
avvicinarsi piano, non
per salvare, ma per stare."
Non aveva ancora una risposta, ma stava
capendo che l'amore non richiede che tu ti tolga le spine, ti insegna però
quando non servono più.
Fu allora che accadde il miracolo più
semplice: una mattina, sotto le stesse foglie d'oro in cui era nato, il riccio
uscì dalle sue spine.
Non tutte, non subito. Ma abbastanza.
Abbastanza da sentire il sole sulla pelle
viva, abbastanza da ricevere, senza stringere i denti. Abbastanza da capire
che, forse, non era nato solo per sopravvivere.
Ma anche per lasciarsi amare.
Imparò che amare non significa essere perfetti
ma avere il coraggio di essere visti, così come si è: con le spine, le paure,
le notti storte.
Non era facile, a volte Riccio si richiudeva
ancora e a volte si spaventava di fronte alla gentilezza: faceva fatica a
credere che la presenza non sia preludio all'abbandono.
Ma ogni volta che trovava il coraggio di
restare aperto un attimo in più, sentiva che l'amore non era più un mistero
lontano.
E giorno dopo giorno imparava che l'amore si fa con i gesti semplici, con il
rispetto del silenzio e l'attenzione ai confini.