Krìsis
Crisi, dal greco krìsis, "scelta", "giudizio", da krìno, "separare", "scegliere", "giudicare". Il verbo da cui deriva il Lemma apparteneva in origine alla sfera agricola; già Omero lo usava (Iliade v. 501) per indicare la separazione (la cernita) del grano dalla pula con la trebbiatura. Da questo significato generico, per traslato ha avuto origine l'accezione di scelta e, successivamente, di giudizio (in senso morale e in senso giuridico) e di decisione; nel linguaggio medico Ippocrate e Galeno lo riferivano al momento decisivo, nel bene o nel male, nell'evoluzione di una malattia.¹
Un momento di crisi è quello in cui ci troviamo ora. La questione Palestinese ci pone difronte agli occhi l'inumanità dell'umano, l'urgenza di agire, l'impossibilità di influire. Quella del conflitto israelo-palestinese non è propriamente una crisi, quanto più un genocidio, una pulizia etnica e una sistematica distruzione e invasione da parte dell'esercito israeliano, voluta dal governo Netanyahu e sostenuta dall'ideologia sionista coltivata e introiettata dal popolo di Israele. Una crisi è quella nel quale la questione palestinese ci pone, è questo "ci" - che bisogna ora comprendere cosa sia - a trovarsi in un momento di crisi, di scelta. Noi (e utilizzare questo pronome è sintomo di un ambiente culturale razzista ed eurocentrico) siamo in crisi. Chi è questo noi, che implicitamente si stacca da un loro? Noi siamo gli Occidentali, europei e nord-americani. La questione palestinese, che ovviamente non riguarda solo noi e coinvolge tutto il mondo, ci pone in una situazione di crisi: che fare? intervenire? voltarsi? ignorare? censurare? reprimere? Molti punti interrogativi ma - vista la nostra millenaria storia di sviluppo di un pensiero critico, filosofico e letterario - forse possiamo provare almeno a spendere del tempo per rifletterci sopra.
Non è una soluzione che mi propongo di raggiungere qui, né tantomeno una critica o un attacco allo stato di Israele (che ci pensa da solo a mostrarsi per ciò che è realmente), né una ricerca storica, geopolitica o (dio me ne scampi) religiosa. Vorrei però riflettere con voi sulla condizione attuale dell'Europa, gli americani lasciamoli pure dove stanno, perciò il noi che seguirà sarà riferito alle "ex" potenze coloniali europee riassunte nell'Europa intera.
1. I gatti di Schrödinger: co-abitare l'immagine
L'epoca post-fotografica ci ha lanciato in un mondo virtuale fatto di informazioni, linee di codici numerici nascosti dietro a delle immagini di copertina che tempestano la nostra realtà, la nostra coscienza, il nostro quotidiano, senza lasciarci un attimo di tregua. Questa co-presenza internazionale dell'immagine fa si che potenzialmente chiunque sia al cellulare in un dato momento possa vedere la stessa immagine. Co-presenza perché io, te e gli altri che fissiamo la stessa immagine sul telefonino, in un qualche bizzarro modo abitiamo quella fotografia, e la notizia in essa contenuta, nascosta, mascherata. Anche volendo ignorare completamente la realtà di ciò che stiamo osservando non possiamo negare che ciò che vediamo abbia un effetto su di noi, sia esso di indignazione, frustrazione, ecc... Rapportarsi ad un immagine significa interagire con essa, bisogna perciò parlare nei termini di una metafisica della presenza: l'immagine è, ha su di noi un effetto. Il nostro interfacciarsi ad essa implica un gioco dialettico che non sempre è evidente e quasi mai è evidenziato.
L'immagine virtuale (la notizia) non è più locale, non è più circoscritta all'ambito in cui è localizzata perché non ha una località, è sincronicamente ovunque nell'etere, questo comporta che nel momento in cui io vedo, io so, io sono partecipe dell'avvenimento.
Facciamo un passo indietro: i gatti di Schrödinger. Ho un gatto di fronte a me, esso esiste poiché io con i sensi attesto la sua presenza; ci pongo sopra una scatola: non lo vedo più (ammettiamo che non miagoli, ecc...), e non posso più attestare la sua presenza; il gatto esiste o non esiste nel momento in cui non lo percepisco? Potenzialmente sì, ma potenzialmente no, potenzialmente il gatto di Schrödinger può essere ovunque, qualunque cosa, finché non alzo nuovamente la scatola ed esso torna ad essere, ad essere nella mia percezione, perciò esiste perché è presente.
Tutto ciò che avviene fuori dalla mia percezione è potenzialmente un gatto di Schrödinger: non è che non è, è che io non posso attestarlo poiché non ne percepisco la presenza.² Ora, l'immagine virtuale - nella sua essenza sincronica dell'attimo/adesso³ - porta l'evento fotografato⁴ potenzialmente agli occhi di tutti, ai sensi di tutti, e ci impone la co-abitazione (assolutamente involontaria) dell'immagine/notizia.
2. Riflessi e posture
Il conflitto israelo-palestinese (se ancora lo si può difinire tale) è il più fotografato della storia, è un genocidio "in diretta tv", il che rende noi gli spettatori di questo massacro in corso. Nessun risvolto morale ora, tranquilli, non compete a me giudicare la nostra più o meno grave indifferenza. Vorrei piuttosto restare sulla questione della presenza.
Essere presenti significa occupare un vuoto, supplire una mancanza. Nel momento in cui una cosa è, significa che è in un qualche luogo (sia esso virtuale o fisico), in un qualche tempo. Questa cosa che è suscita delle reazioni nei soggetti che ci interagiscono: nel momento in cui per caso alziamo una scatola e dentro ci troviamo un gatto di Schrödinger ognuno di noi avrà una reazione diversa, i più affettuosi lo carezzeranno, gli daranno qualcosa da mangiare, lo adotteranno; altri lo ignoreranno, qualcuno lo guarderà, saluterà, fotograferà; probabilmente qualcuno lo caccerebbe pure, lo ferirebbe, lo rapirebbe per venderlo, e così via.
La presenza perciò implica una presenza altrui e l'interazione sensoriale dei due soggetti. Perciò io incontro un soggetto/oggetto e ho una reazione. Questo implica l'assunzione di una postura. Usiamo questo esempio: passa una bella ragazza (secondo dei canoni classici occidentali) vestita con dei jeans attillati elastici a vita alta e una canottiera che non arriva all'ombelico; una volta sorpassata mi volto a dare un'occhiata? Qualcuno risponderebbe di no (più o meno calorosamente), qualcuno direbbe di no ma poi lo farebbe lo stesso, e altri diranno di sì (più o meno calorosamente). Quello che ci importa non è la correttezza del gesto o il giudizio postumo di una società morale, ma la postura che l'evento implica. Un qualsiasi "maschio" "eterosessuale" - se vogliamo accettare l'esistenza di queste categorie culturali - vorrebbe girarsi, vuoi per curiosità, vuoi per abitudine, ecc... ma non tutti i "maschi" "eterosessuali" si girerebbero. Questo non implica che ci sono delle brave persone e delle persone cattive, su questo bisognerebbe discutere e argomentare ma al momento non ci interessa. Una cosa è certa l'evento (la presenza ai sensi di un'altro soggetto o oggetto) apre un istante di possibilità nel quale ognuno sceglie come agire, questo significa assumere una postura (etica). Etica, da ethos, "consuetudine", "carattere", "comportamento".⁵
3. Decostruire?
Se l'Europa co-abita la situazione palestinese (ignoriamo qui la complicità della quasi totalità degli stati europei nell'attuale genocidio in corso e l'implicazione all'origine della questione palestinese pre 48') grazie ad immagini, dichiarazioni e testimonianze a noi giunte, dobbiamo solo chiederci (non più a livello di individualità ma in merito all'istituzione Europa) qual'è la postura che abbiamo assunto?
La questione palestinese ci pone in una posizione scomoda, ci chiede di riflettere su noi stessi. Ci obbliga (in maniera estremamente violenta) a riflettere nelle immagini che osserviamo, là dove inizialmente c'è "solo" un bambino morto, ad uno sguardo più attento, intravediamo noi stessi, nel vuoto del nostro agire, nel vuoto del nostro potere, nel tronfio privilegio di osservatori.
Questa non è una chiamata a reagire. È l'analisi - spero lucida - di cosa la Palestina ci sta ponendo difronte agli occhi. La democrazia Occidentale acconsente un genocidio, lo sostiene, lo alimenta. La democrazia Occidentale censura, reprime, maltratta qualunque supporto al popolo palestinese. La democrazia Occidentale cessa di essere una democrazia pur di ignorare la Palestina. Le leggi internazionali e la corte penale internazionale vengono traditi, l'ONU tacciato di antisemitismo (con scuse che fanno acqua da tutte le parti), devo continuare? Tutto questo è quello che si vede nelle fotografie di Gaza, della Cisgiordania e Gerusalemme Est. La Palestina ha assunto una postura (che ci piaccia o no), Israele ha assunto una postura (che sta crollando, sfaldandosi dall'interno), l'Europa? Da qualche giorno si accenna ad una reazione, ma oltre questo? La Palestina ci chiede, anzi ci impone un ripensamento della nostra essenza: chi siamo? e cosa facciamo? Ci impone un ripensamento del nostro ruolo in Medio Oriente, ci impone di rapportarci con il nostro "passato" coloniale, ci impone di ripensarci. E ripensarsi significa comprendersi e decostruirsi. L'occidente intero è chiamato a ripensare se stesso o la Palestina scomparirà. Loro hanno già fatto la loro scelta, sanno di esistere, sono presenti a loro stessi, si sentono, e hanno assunto una postura. Noi? Esistiamo? Siamo presenti? Siamo consapevoli delle nostre azioni? Degli effetti delle nostre azioni? Conosciamo il nostro passato? Siamo pronti ad assumere una postura? A posizionarci?
di Ruben
¹ CESARETTI, PAOLO e MINGUZZI, EDI. Il Dizionarietto di greco. Le parole dei nostri pensieri, Brescia, Scholé, 2021, p. 88.
² Notiamo che "presenza" diventa sinonimo di "realtà", e che perciò la realtà esiste solo in funzione dei nostri sensi.
³ Non argomento su questo, se interessati scrivetelo nel box domande a fondo pagina e proverò ad articolare un paragrafo aggiuntivo (se richiesto).
⁴ AZOULAY, ARIELLA. Civil Imagination. Ontologia politica della fotografia, Milano, Postmedia, 2020.
⁵ Il Dizionarietto di greco, p. 158.