La cimice

23.07.2025

Quella mattina Nicola si era svegliato con quei cinque minuti di ritardo che bastano per farti perdere il pullman. Tra correre, attendere il bus successivo e poi di nuovo correre, arrivò in classe fuori orario: con il cuore in gola, e la lingua penzolante, come un tenero cagnolino affaticato. Entrò scusandosi per il ritardo, ma il professore non ne volle sapere, lo cacciò dalla classe con delle scuse assurde sul rispetto e la puntualità. Si ripresentò l'ora successiva.

Stava lì, sul banco, aspettando solo che qualcuno gli dicesse che la giornata fosse finita cosicché potesse tornare a casa. Aveva passato un'ora intera fuori al freddo, teoricamente al riparo ma il vento spostava l'inclinazione della pioggia che tagliando in obliquo l'aria inondava il terrazzo. Ora si era rintanato vicino al calorifero e non aveva alcuna intenzione di staccarsi dalla sedia, ma nemmeno di seguire le lezioni.
Infastidito e stanco poggiava la testa sulla mano, chiaro sintomo di noia. Gli occhi cadenti e stanchi ballavano da destra a sinistra osservando la stanza e le persone che la popolavano; la bocca si allappava; il caldo del termosifone creava il giusto tepore, quello che ti avvolge, ti coccola e al quale chiunque si arrenderebbe.
Attorno tutti noiosi, i soliti discorsi, le solite battutine, le solite mediocri e noiose lezioni prolisse, di fatto, sul nulla. Ma ecco d'un tratto qualcosa di interessante, con la coda dell'occhio scorse una piccola cimice verde fiammante fuori dalla finestra, saliva lungo il muro dell'edificio, piano piano, zampetta dopo zampetta gli veniva incontro. Ancora al piano terra, Nicola la osservava salire, le mancavano tre infiniti piani, ripidi e scoscesi, se non vertiginosi, prima di arrivare alla sua finestra. Nicola la osservava affascinato, potremmo dire catturato, ammaliato, naso appiccicato alla finestra e occhi fissi verso la voragine che poteva ad ogni istante inghiottire la piccolina. Impaziente attendeva il suo arrivo, e lei sembrava aver fretta di arrivare. Con quale forza, quale tenacia, un essere così piccolo, sale tutti quei piani senza sosta, senza paura, solo con quelle piccole zampine?
Il tempo nel mentre scorreva, la campanella era suonata, i compagni erano scesi in cortile per l'intervallo, poi erano rientrati, la professoressa era arrivata, un po' di corsa e un po' sudata ma per tempo, aveva fatto l'appello un po' soprappensiero, e già spiegava. E la piccola cimice ancora stava al primo piano. Nicola stupefatto la osservava, quel piccolo essere ce la metteva tutta, impegnava tutte le sue energie per una cosa ai suoi occhi così banale e questo era quasi incredibile. La osservava attentamente quando qualcuno dall'aula lo chiamò, si distrasse un secondo e quasi rischiò di scivolare. Faceva freddo, si tenne ben saldo al pavimento e cercò di ritrovare l'equilibrio ma un colpo di vento lo scosse nuovamente, la paura e la tensione lo tenevano aggrappato a terra, da quell'altezza si sarebbe sicuro spiaccicato. Arrivato al terzo piano il vento cambiò completamente direzione sbattendo con un forte scroscio contro di lui. Doveva ora procedere più lentamente e rimanere il più saldo possibile alla parete, perché le gocce di pioggia non erano più piccole e fastidiose, erano grosse e dolorose, e bastava poco per ritrovarsi scaraventato a terra. Ma la seccature peggiore era dover raggirare le parti più bagnate e schivare le gocce che scivolavano verso il basso, per evitare di scivolare a sua volta e ritrovarsi schiacciato contro il pavimento, che ora era molto più lontano della meta.

La finestra era vicina, mancava davvero poco alla fine di tutti i problemi, il caldo, la luce, la gente erano lì, ad un palmo di mano. Doveva solo tenere duro ancora qualche metro, ancora qualche decimetro, ancora qualche centimetro, gli ultimi millimetri. La professoressa, piuttosto alterata, l'aveva richiamato già diverse volte prima che Nicola se ne accorgesse. Si avvicinò al banco furiosa, voleva si chiudesse la finestra, e ora si chiedeva se Nicola dormisse o si prendesse gioco di lei. Arrivò davanti al banco, lanciò uno sguardo gelido a Nicola, si volse verso la finestra per chiuderla, ed ecco la cimice trionfante sbucare da dietro lo stipite. Nicola la vide, un'espressione di gioia gli si disegnò in volto, un piccolo sorriso di tenerezza e soddisfazione spezzato dalla professoressa che con una schicchera la spazzò nell'oblio. La finestra si chiuse e calò il silenzio, il volto del ragazzo si fece scuro, un'emozione senza nome - ma già famigliare - gli salì lungo la spina dorsale. Si alzò, prese la cartella, uscì dalla classe e tornò a casa, deluso.