Mademoiselle

01.09.2025
Qual è la cosa più bella
Sopra la terra bruna? Uno dice «una torma
di cavalieri», uno «di fanti», uno «di navi».
Io, «ciò che s'ama»
.
 

Saffo, Frammento 16

Park Chan-wook alla regia firma l'ennesimo capolavoro

Un'abile borseggiatrice viene doppiamente assunta: come dama di compagnia e come aiutante per una truffa ai danni di una delle donne più ricche della Korea del sud (anni 30'). Ma l'amore è in grado di scardinare anche i piani meglio congegnati.

Trailer ufficiale

Manichini, bambole, matrioska

La dama di compagnia Tamako (questo il nome giapponese che le danno al suo arrivo) finge di chiamarsi Hook-jo (non so se l'ho scritto corretto) ma in realtà si chiama Sook-Hee. Tre nomi, tre persone, tre strati della stessa persona. La nostra protagonista è come una matrioska, nasconde al suo interna un'altra sé, più piccola, più concreta, più densa perché più vera.
Anche il film, con essa, si scompone in tre parti unite da un gioco escatologico di rimandi, rinvii, citazioni. Le scene delle tre parti si inanellano formando un gioco di mimesis spettacolare, quasi un gioco caleidoscopico, come se poche scene iniziali continuassero a ripetersi cambiando forma, vestendosi o svestendosi di un nuovo strato ma serbando in fondo (proprio come una matrioska) la stessa semplice verità. All'interno di questi giochi si nasconde una profonda conoscenza femminile che si tramanda, consapevolmente e non, di donna in donna. L'esperienza sia del corpo che della mente, che si trasmette in tocco, in un sussurro.

Sook-Hee viene assunta come dama da compagnia della signorina Hideko, la nipote di un ricco possidente che si dedica all'arte del libro, la madre è morta durante il parto e la zia si è tolta la vita. È perciò cresciuta da sola, con lo zio (che ora vuole sposarla) che si occupava della sua educazione e le domestiche che l'avvolgevano dolcemente in ogni istante della vita.
La dama Tamako e la signorina Hideko diventano da subito intime, lei si accoccola nel letto con lei, le fa il bagno, la chiama la sua principessa, le da le caramelle quando sente dolore, la cura e si prende cura di ogni dettaglio, lenisce ogni fastidio, ispeziona ogni angolo del suo corpo. È come una bambola per lei, un oggetto da cullare, curare e custodire.

Tra tutte le cose di cui mi sia mai presa cura non c'è niente di più bello di lei.

Entro i confini della tenuta della dama Hideko e dello zio tutto è così perfetto, ogni cosa è al suo posto, ogni dettaglio, ogni sfumatura è tagliato alla perfezione, e sappiamo come Park Chan-wook sia in grado di far risaltare tutto ciò con maestria. Ma questa perfezione è solo una maschera, una finzione. Come dice, o meglio, pensa Sook-Hee: «ognuno recita maledettamente bene la propria parte». E lo spettacolo è pieno di sorprese.

Al femminile - nell'ampissima gamma di sfumature che vengono mostrate - si oppone il maschile come demoniaco, di cui l'esempio lampante sono i capelli dello zio nelle scene finali.
I maschi sono due, lo zio e il finto conte.
Lo zio è un uomo che passa la mezza età che si eccita attraverso la lettura, scrittura e ricerca bibliofila di romanzi erotici. Su questo verteva l'educazione della piccola Hideko, come della zia poi suicidata (la moglie). Fin da piccola gli errori non le erano concessi, picchiata e minacciata Hideko cresce reclusa in una reggia in cui viene temprata nell'arte della lettura teatrale dei testi erotici dello zio ad un pubblico pagante. Spettacoli che culminano nella scena del manichino, esso, la silhouette del maschio, vuoto, privo di un volto, di identità, di carattere, che letteralmente muore di piacere.
Questa macabra e dolorosa educazione l'hanno resa, agli occhi del finto conte Fujiwara, «fredda come il ghiaccio», tanto da ricordargli «un cadavere».

È il risultato di lunghissimi insegnamenti...

Il corpo maschile le diviene repellente, viscido, invadente. Il conte poi è un uomo che tende ad allungare le mani, quasi per abitudine, anche se dai suoi occhi traspare malizia. Corteggia tutte le inservienti che incontra, le seduce con lo sguardo e le inganna con le parole. La dama di compagnia che ha preceduto Sook-Hee è stato licenziata grazie a lui, che l'ha sedotta e posseduta proprio per farla licenziare.
Peggio delle palpatine e dei commenti, dei libri erotici e degli sguardi maschili c'é solo il sotterraneo. Fin da piccola lo zio la porta lì, non per ferirla, per avvertirla. La zia quando, ancora in vita, tentò la fuga, fu portata giù, di sotto. Poco dopo si tolse la vita. Hideko lo teme, lo zio la minaccia, la sola idea è angosciante... L'unica che riesce a darle forza sembra essere Sook-Hee, lei le insegna l'amore, la ribellione, la verità. Ma non tutto è come sembra.

Un consiglio che credo utile per leggere i film di Park Chan-wook è di osservare attentamente i dettagli degli ambienti in relazione alle inquadrature. Diciamo di considerare scenografia e regia come due ulteriori linguaggi nel quale si può cercare l'intento comunicativo. Per esempio, si faccia caso alla scena in cui il conte e la signorina Hideko dipingono e Sook-Hee li osserva da fuori la finestra, si noti come l'ambiguità del doppio sguardo si rifletta nel vetro mezzo opaco e mezzo lucido. Se fosse di vostro interesse ho "analizzato" altri due film Park Chan-wook in Due volti dell'amore, nella seconda parte, dove potete trovare esempi simili.

In fine, dato che quest'edizione è Giù le mani dal mio corpo, io credo doveroso un commento alle scene erotiche del film che, come un po' tutto, sono tre. La prima è magistrale. La seconda è incredibile ma si dilunga troppo, tanto da risultare insistente e poco elegante. La terza era assolutamente non necessaria.