Manic Pixie Girl
Appare chiaro ai miei occhi come oggigiorno sia diventata la
norma per le giovani ragazze abitanti del web, descriversi attraverso una serie
di typos che consumano nella loro quotidiana esistenza. Anche se non è vero che
questo particolare cibo sia consumato da loro quotidianamente, ma
semplicemente corrisponda ai canoni estetici del personaggio che vogliono
incarnare. Possiamo trovare la ragazza black air/Lana del Rey/water and fairies/Silvia
Plath/drowning o la ragazza long nails/falsies/Ice Spice/sesso, droga e rock
and roll.
Lo scopo implicito dell'identificazione di noi stessi attraverso
i prodotti che consumiamo è quello di qualificarci e inserirci in una nicchia
di persone al contempo tutte speciali e tutte uguali le une alle altre. Non serve che io legga davvero Silvia Plath per rientrare in
quel typos, perché io sono quel typos, quel typos che, anche se non mi descrive
al 100%, serve a farmi riconoscere.
Ecco, capisco perché lo facciamo, perché affidare la propria
identità a dei complessi personaggi femminili può dare a tutte noi il giusto
livello di autostima per cominciare a credere davvero in noi stesse, giusto? Ma in
quale noi stiamo credendo? In quale me mi sto trasformando?
E adesso, mentre mi metto il mascara prima di piangere, così
da sembrare il giusto livello di triste, penso a come niente sembri più vero, e
a come niente sembri più reale se non è come nei film. Oh, ma quanto è bello essere
capiti e compresi, anche se solo come una caricatura.
"Questo sentimento è
reale perché ho qualcosa con cui compararlo".
Sembra che io sia in grado di capirmi solo attraverso le
lenti di quella me attualizzata nella finzione della mia stessa vita. E mentre
rassicuro me stessa che sono giunta a questo media, a questo typos, per un
predeterminato senso del sé, non posso fare che chiedermi se sia stato esso
invece a crearmi, se siano i prodotti con cui entro in contatto a forgiarmi
come persona.
Chi sarei se smettessi di consumare? Cosa rimarrebbe da
sentire?
Consumiamo così tanto che forse non sappiamo più esistere
come qualcosa che non possa essere venduto.
Ho dovuto rinunciare a scrivere un diario perché non potevo
smettere di scrivere per le persone che lo avrebbero letto dopo la mia morte.
R.C.