Cheeeeese!
Trama in breve
Gli stati uniti stanno crollando, la guerra civile attraversa il paese decimando la popolazione. Lee (fotoreporter), Joel (giornalista), Jessie (fotoreporter apprendista) e Sammy (Giornalista) vogliono raggiungere il presidente per fotografarlo e intervistarlo prima che le forze secessioniste lo destituiscano.
Civil war, Alex Garland, 109 min
1. Fotoreporter, proiettili di luce
Ci sono tre persone in un vicolo cieco, un uomo nero, un uomo bianco e una donna bianca. NON è UNA BARZELLETTA. L'uomo nero tiene le mani verso l'alto, sta sulle ginocchia, piange, urina e defeca. L'uomo bianco cammina verso di lui, lo fissa, prende la mira e spara. La donna bianca cammina verso l'uomo nero, lo fissa, prende la mira e scatta. Risultato? La fotografia di un omicidio.
In inglese il termine che indica questi due verbi è uno solo: shoot. Cosa accumuna queste due azioni?
Sia il combattente/cacciatore che il fotografo tengono il loro strumento costantemente in mano o a portata di mano. Entrambi devono scegliere un'obiettivo, prendere la mira, mettere a fuoco, controllare il respiro e poi, con un movimento del dito, scattano. I combattenti fermano vite, i fotografi fermano il tempo. Forse la domanda da porsi è: cosa differenzia queste due azioni?


Non è curioso che entrambi questi due soggetti si debbano mimetizzare? Essi rischiano la vita, questo significa doversi proteggere: giubbotto antiproiettile, elmetto.
In guerra immagino tutto sia regolato dall'istinto di sopravvivenza: nascondersi, essere invisibili, silenziosi. Anticipare l'avversario, mettersi in posa, scattare o sparare, a questo punto cambia poco.
Individuare l'obiettivo, zoomare, mettere a fuoco, scattare o sparare, tutto succede in un istante. Un soldato spara e sei morto. Un fotografo scatta e sei immortale.

Una guerra la si può guardare in due modi: attraverso la stampa delle parti coinvolte, dove ognuna individuerà un buono e un cattivo, e gioirà per le sconfitte del cattivo e piangerà le perdite del buono. Oppure attraverso l'obiettivo, se si è fotoreporter. Il fotoreporter è la neutralità pura, esso non spara per fare del male o per fare del bene, esso è il terzo elemento di una guerra, colui che spara per il puro gusto di sparare, oppure, colui che spara per il dovere di mostrare al mondo l'orrore dello sparare. Da una parte il sadismo e dall'altra l'etica. Buffo, no?
2. Paparazzi: violentare i corpi
Fino a qui tutto è nella norma, se c'è la guerra e un soldato spara lo fa per difendere, se c'è la guerra e un fotografo scatta lo fa per raccontarla, mostrarla, renderla pubblica. Ma cosa succede quando gli stessi strumenti passano da un "professionista" ad un civile? Nel momento in cui una persona qualunque impugna un fucile d'assalto per strada l'equazione cambia completamente, il suo diviene reato, almeno in un paese sano. Ma se una persona qualunque impugna una fotocamera e la punta contro un altro cittadino? Nessuna reazione... la vita continua a scorrere come sempre. Non è un atteggiamento negligente e pericoloso?

Ci sono due reazioni antitetiche - entro il quale si distende un'ampia gamma di sfumature - al trovarsi di fronte uno sconosciuto che punta la fotocamera dritta su di noi. La figura 4 può aiutarci: da una parte c'è chi vive dell'essere fotografato e dall'altra chi reagisce lanciando telefonini della gente.
Giusto? Sbagliato? Poco importa. Proviamo ad esaminare entrambe le posture considerando il soggetto in situazione, una situazione quotidiana, perciò nulla che possa anche solo lontanamente giustificare l'esigenza giornalistica del fare la foto. Consideriamo la reazione del soggetto in situazione.
a. Narcisismo
A sinistra una persona che chiaramente è abituata ad essere fotografata, ad essere al centro dell'attenzione. Basti guardare l'eleganza con cui reclina il viso verso il basso, la mano che si alza per mimare il gesto del coprirsi che ovviamente non può nulla contro la schiera di paparazzi. A destra una persona completamente spaesata, espressione inebetita e infastidita, non fa nulla per coprirsi (mostrandosi) ma rimane allo scoperto, e in un certo senso viene oscurato dall'altra persona che brilla chiaramente al centro della foto.
Quello che mi fa estremamente senso è il sorriso della persona alla sinistra, un sorriso sinistro, di chi finge di coprirsi mentre gode nell'essere al centro, nel brillare, nell'essere l'oggetto delle fantasie di chi sta dall'altra parte della fotografia, il fan. Non a caso la foto trasuda libido, scollatura vertiginosa, maglia bianca che risalta la pelle olivastra e il petto prominente, impugnatura salda e simbolica del cono gelato (che da un momento all'altro leccherà per evitare che coli, ma solo quando sarà fuori dall'obiettivo, solo nell'immaginazione dell'osservatore che passa da fan a gooner in un istante).
Il godimento puro dell'essere venerata, immortalata, idolatrata. Il potere dell'essere desiderata e del falso sfuggire alle lusinghe, il potere dell'essere inaccessibile e la libido che aumenta esponenzialmente ogni volta che un reporter scatta.
b. Invasione
L'inesperienza della persona di destra sta tutta nella mancanza degli occhiali da sole. Non è al sicuro, non può ripararsi, nascondersi, rifugiarsi. Colto impreparato e violentemente penetrato nel suo privato: in una conversazione? In un litigio forse... In una scommessa? In un momento romantico? Di certo in un momento. Innervosito dalla semplicità con cui una serie di persone può bucare la sua privacy e sparargli contro con il flash, sembra ad un passo da una strage. Gli occhi si sbarrano, uno da una parte uno dall'altra. Lo sguardo cerca l'altra persona, lei è di spalle, si è già messa in posa, non condivide il suo disappunto, non comprende il suo smarrimento. Lei ama essere al centro dell'attenzione, lui si sente sporco inorridito: niente libido, eccitazione e godimento dell'Io, ma violazione, frustrazione e disturbo.

Qualcuno si è mai chiesto cosa possa percepire la persona inquadrata? o abbiamo sempre dato per scontato che se a noi non fa del male allora non può farlo neanche agli altri?


Civil war di Alex Garland porta la morte e la fotografia a spasso per un'America Centrale devastata, un lungo percorso in cui queste due entità danzano l'una attorno all'altra fino a fondersi, creando un icona. La peculiarità delle icone sta nell'autenticità, che va di pari passo con l'immortalità, le due prerogative dell'arte.
L'omicida e il fotografo sono i due attori della morte moderna, la morte della vita (l'omicidio) e la morte della morte (l'immortalità). Queste due mostruose azioni si incontrano, perché attratte l'una dall'altra, nell'invasione dell'altro. La differenza è che sparare è "sbagliato" mentre "fotografare" no. Perché la morte è il "male" mentre l'"immortalità" è tutto ciò a cui aspiriamo.
Che epoca buffa