The Son

Un film che tratta un tema difficile, ma armato di grandi attori pronti a dare la loro migliore interpretazione.
La depressione è difficile da rappresentare in un film, perché la si può capire solo vivendola in prima persona. Gli spettatori possono solo vedere una serie di immagini, non possono entrare nella mente del personaggio per comprenderlo meglio. Anche con registi e attori talentuosi, spesso la depressione viene scambiata per svogliatezza o, peggio, per una “fase di passaggio degli adolescenti”.
Non siamo gli unici ad avere difficoltà nel comprendere questa malattia: anche le persone che vivono a stretto contatto con chi soffre di depressione fanno altrettanta fatica. “The Son” parla proprio di questo, non tanto della patologia in sé, ma di come le persone reagiscono a chi ne soffre.
Il protagonista è un padre, Peter Miller, che, nonostante sia pronto per cominciare una nuova vita in politica, d’un tratto deve occuparsi del figlio depresso. Lo spettatore ci arriva subito che il ragazzo ha bisogno d’aiuto da parte di professionisti, ma il padre fatica ad ammetterlo.

Il padre, invece, sottovaluta il problema: descrive il comportamento del ragazzo come una “fase passeggera di un adolescente” e pensa di aver risolto tutto facendo vivere il figlio nella sua nuova casa e mandandolo in una nuova scuola. Anche se poi Peter capisce che qualcosa davvero non va, nega comunque la gravità della situazione, mandando il figlio da uno psicologo per qualche seduta settimanale. Si illude che questo basterà a tornare alla normalità.

La depressione è una patologia che non ha responsabili. Non si può incolpare una persona per la depressione di qualcun altro. Chi soffre di questa patologia è l’unico che può affrontarla e vincerla, con l’aiuto di figure professionali.
I genitori del ragazzo ovviamente si sentono responsabili e, cercando di aiutare il figlio, non fanno altro che peggiorare questo senso di responsabilità. L’affetto che provano li acceca e non permette loro di ragionare lucidamente, anche davanti al tentativo di suicidio del figlio.
Non l’abbiamo causata noi e, se è difficile anche solo da capire, figuriamoci se possiamo curarla.
★★★★★★★★★☆
di Andrea Brevi