Splatters - Gli Schizzacervelli

06.10.2025
Immaginate di gettare una sacca di sangue dal tetto di una casa. Che suono fa? SPLAT!
Perché non è acqua (che fa SPLASH), ma è più denso, magari pure arricchito con brandelli di carne e budella. È una poltiglia disgustosa che si fa riconoscere appena impatta sul terreno.
Da questa veloce analisi capirete che Splatter è un termine onomatopeico per indicare schizzi/spruzzi di sangue - spesso esagerati.
Nel cinema horror si sviluppò un sottogenere tra gli anni '60 e '70 chiamato appunto Splatter, caratterizzato da una rappresentazione estremamente grafica, esplicita e spesso esagerata di sangue, viscere e mutilazioni. L'importante, per questo genere, è essere visivamente impattante e scioccante. Può addirittura finire per essere grottesco, esagerato, surreale o comico: ciò che conta è il sangue.
Questo elemento differenzia il genere dallo slasher (in cui ci si concentra sul killer e sugli omicidi) e dal body horror (in cui il disgusto è creato dal corpo in generale).


Ovviamente non si può parlare di splatter senza nominare un cult di questo genere: "Splatters – Gli Schizzacervelli" di Peter Jackson. Una folle commedia horror del 1992 che trasforma gli “zombie” in un grottesco e spassoso carosello di mostri, sangue e interiora. Il regista neozelandese si è formato artisticamente negli anni ottanta, gli anni dello “splatter”, e quando riuscì finalmente ad ottenere un budget da 3 milioni di dollari decise di darci dentro con il sangue e con le viscere.
Il suo film parte come un'avventura alla Indiana Jones in cui degli esploratori su Skull Island (occhiolino a King Kong) catturano una scimmia-ratto, animale il cui morso trasforma in famelici zombie. Arrivata allo zoo di Wellington in Nuova Zelanda, la scimmia diventa attrazione per i visitatori, tra i quali c'è la madre del protagonista che verrà poi morsa diventando il paziente zero.

Ora, non vi racconterò tutta la trama, ma sappiate che il film ha dei punti di svolta molto interessanti.

Per prima cosa, non è la classica storia di zombie. Il protagonista non si dedica ad uccidere i morti viventi, bensì a tenerli nascosti nella sua cantina e prendersene cura (cosa potrà mai andare storto?)
Poi ci sono gli effetti del morso zombificante, che hanno preceduto di molti anni la stragrande maggioranza dei videogiochi del genere: le persone morse non solo vivono in un corpo in decomposizione, ma addirittura si trasformano, diventando veri e propri mostri.
L'ambientazione è contenuta, solo una villa, niente più. Non ci sono orde di zombie in strada o per le città di tutto il mondo. Il protagonista è confinato in casa sua e dovrà evitare la dispersione dei contagiati.

Oltre ad avere una trama che tiene alta l'attenzione dello spettatore, ci sono degli effetti grafici che accompagnano l'intera visione e di cui si rimane sinceramente impressionati. Sia per l'utilizzo della stop-motion per la scimmia-ratto e per il bambino zombie deforme, sia per i costumi e il trucco (avete sentito bene: niente CGI!)
Visivamente il film è una gioia per gli occhi degli appassionati del genere, ma anche un macabro spettacolo fatto di sangue ad ettolitri, liquidi organici vari e parti smembrate, il tutto che converte in un finale che è una vera e propria ode allo smembramento.

Il finale è il risultato ultimo dello splatter vero e proprio. Una danza di viscere e organi smembrati che vengono avvolti dalle fiamme. Commovente.
Ma dopo tutto ciò cosa rimane? Titoli di coda che ci danno il tempo per renderci conto di quanto siamo malati nell'aver apprezzato quel disgustoso teatrino. Ci chiediamo perché non abbiamo spento la proiezione, perché siamo andati avanti a guardare.

Oggettivamente una cosa che crea disgusto non dovrebbe piacere, non dovrebbe affascinare e tanto meno diventare un genere cinematografico, ma ci sono diversi fattori che in realtà ci attraggono e ci spingono a guardare lo Splatter, fondati su una caratteristica fondamentale del cinema: la finzione.

Noi spettatori sappiamo che il film è finto, nulla è reale e gli attori stanno solo recitando. Nessuno muore davvero, non c'è sangue che sgorga da un corpo umano e questo ci rassicura, ci permette di provare emozioni forti ma in ambiente controllato. Un po' come sulle montagne russe, spaventose ma monitorate costantemente. Lo splatter inoltre infrange tabù (corpo, morte, mutilazioni) e questo lo rende attraente. Nella vita reale non si possono vedere queste cose, ma nella finzione ce lo concediamo.
E quando il genere sfonda nel comico? Ancora meglio, perché il grottesco che diventa assurdo/demenziale ci aiuta ad affrontare l'orrore rendendolo parodia, e ridere dell'orrore ci dà un senso di controllo.
Infine, ormai lo splatter è un genere che fa parte della nostra cultura, con fan, festival, community... ci siamo abituati.

Tutta questa retorica prende forma in "Splatters - Gli Schizzacervelli". Arrivati al finale, capiamo che in fondo è tutto finto, che non c'è nulla di sbagliato perché è come se il regista in persona ci avesse dato il permesso di apprezzare il suo lavoro, ha addirittura reso tutto esagarato e comico per riuscire ad affrontare meglio quel vomitevole show (bravo Peter Jackson, sei riuscito a creare un cult).  

Dunque, lo splatter ci attrae perché è un mix di adrenalina, trasgressione, gioco estetico e ironia. Non è il sangue in sé, ma quello che rappresenta: un confine superato in modo sicuro.
Certo, è un genere di nicchia, ma se vi piace... godetevi fino all'ultima goccia di sangue.