Volver

22.09.2025

Volver è un film del 2006 diretto da Pedro Almodóvar con protagonista la magnetica Penélope Cruz.

Raimunda (Penélope Cruz) si trova improvvisamente costretta a proteggere la figlia Paula, che ha reagito a un'aggressione del patrigno con un gesto estremo di autodifesa.
Nel frattempo, la sorella Sole accoglie in casa lo "spirito" della madre Irene, tornata dall'aldilà per ricucire i legami familiari e portare alla luce segreti a lungo nascosti. Il film si configura così come un ritratto di donne appartenenti a diverse generazioni, tutte impegnate a sopravvivere e a ritagliarsi uno spazio di autonomia in un mondo dominato dalla violenza e dall'oppressione maschile.

In Volver il corpo femminile è sempre portatore di significato: da un lato conserva le tracce della sofferenza, dall'altro diventa veicolo di energia, di resistenza e di riscatto.
Raimunda è la figura che incarna in modo evidente questa doppia dimensione: la sua storia personale, segnata dagli abusi subiti in giovinezza, mostra come il corpo possa essere luogo di violenza e di oppressione, un campo in cui si imprimono le ferite lasciate dal potere maschile.
Questo passato ritorna, quasi come un'eco, nella vicenda della figlia Paula, che si trova a difendersi dall'aggressione del patrigno: il trauma si ripete, ma la risposta cambia. Il gesto estremo della ragazza, pur doloroso, spezza la catena di violenza che sembrava destinata a riprodursi da una generazione all'altra.

Almodóvar non riduce mai le sue protagoniste a vittime passive. Al contrario, mette in scena donne che trovano nel proprio corpo una forza insospettata.
Raimunda, ad esempio, utilizza la fisicità nella vita di tutti i giorni: porta pesi, lavora senza tregua, cucina instancabilmente.
La sua sensualità, intensa e prorompente, non è mai trattata come un'arma di seduzione al servizio dello sguardo maschile, ma come una fonte autonoma di vitalità. La regia esalta il suo essere concreta, carnale, terrena: un corpo che agisce, protegge, crea e non si lascia ridurre a oggetto.
Anche gli spazi che Raimunda abita contribuiscono a rafforzare questo significato. La cucina, in particolare, diventa molto più di un luogo domestico: è l'officina della sua rinascita. Qui non solo prepara piatti per gli altri, ma ricostruisce una forma di autonomia economica e simbolica. Attraverso il cibo, la cura e la condivisione, il corpo non è più solo individuale, ma collettivo: un corpo che nutre e che rigenera, capace di tessere legami e di creare comunità.

Raimunda non nega il dolore che porta dentro di sé, ma lo rielabora in una nuova possibilità di vita.
Il film suggerisce che il corpo femminile, spesso teatro di ingiustizie e soprusi, può diventare anche il luogo di una rivoluzione intima e silenziosa.
Non più vittima, ma strumento di autodeterminazione.
Non più proprietà altrui, ma terreno fertile di libertà.

È in questo senso che il messaggio "giù le mani dal mio corpo" emerge con forza: non soltanto come grido di difesa contro la violenza, ma come affermazione della capacità di rinascere, di resistere e di generare futuro.